Horatius, vita brevis
L'angoscia dello scorrere del tempo in Orazio

Oscar Testoni, ultima revisione: 27/07/2020

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

-

O
s
c
a
r

T
e
s
t
o
n
i

Carmina (Odi), liber primus, 4

Solvitur acris hiems grata vice veris et Favoni
trahuntque siccas machinae carinas,
ac neque iam stabulis gaudet pecus aut arator igni
nec prata canis albicant pruinis.
Iam Cytherea choros ducit Venus imminente luna - 5
iunctaeque Nymphis Gratiae decentes
alterno terram quatiunt pede, dum gravis Cyclopum
Volcanus ardens visit officinas.
Nunc decet aut viridi nitidum caput impedire myrto
aut flore, terrae quem ferunt solutae; - 10
nunc et in umbrosis Fauno decet immolare lucis,
seu poscat agna sive malit haedo.
Pallida Mors aequo pulsat pede pauperum tabernas
regumque turris. O beate Sesti,
vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam.
- 15
Iam te premet nox fabulaeque Manes
et domus exilis Plutonia, quo simul mearis,
nec regna vini sortiere talis
nec tenerum Lycidan mirabere, quo calet iuventus
nunc omnis et mox virgines tepebunt. - 20
Dopo avere analizzato linguisticamente e tematicamente, anche grazie all'illuminante ricorso a La semantica del Carpe diem di Alfonso Traina, il famosissimo e banalizzatissimo testo Carmina, I, 11 (infatti il sottotitolo del saggio di Traina è Contro la banalizzazione del godi il presente o dell'attimo fuggente), guardiamo ora agli altri testi in cui ricorre lo stesso tema, per vederne conferme o varianti nella sua produzione, rispetto al noto testo.
Incominciamo dalla quarta ode del primo libro, che si apre con uno scenario primaverile che scioglie col suo vento l'acre inverno: le navi tornano in mare, il gregge esce dalla stalla, il contadino smette di godere del fuoco, i prati si liberano della brina e Venere, già da Lucrezio associata alla primavera, apre le danze a cui si uniscono le Ninfe e le Grazie, mentre Vulcano sorveglia le officine dei Ciclopi
Orazio invita a intrecciare corone di mirto, cosa che potrebbe costituire un invito all'amore, visto che il mirto è una pianta sacra a Venere, come la successiva offerta a Fauno.
Ma ecco che la Pallida Mors, in evidenza a inizio di periodo e di verso, personalizzata, bussa (pulsat) in un presente atemporale (quindi non ora, ma sempre), col piede (e da qui scopriamo che i romani non bussavano con la mano) equo, uguale, imparziale, senza fare distinzione, sia ai tuguri dei poveri (pauperum tabernas) che alle torri dei re (regumque turris). Si rivolge allora a Lucio Sestio, come nel nostro testo a Leucone, ma non con un congiuntivo esortativo per invitarla a tagliare (reseces) una "lunga speranza" (spem longam) a causa del breve spazio (o essendo breve lo spazio, o dal breve spazio o nel breve spazio - inteso in senso temporale), bensì in terza persona si afferma che "la breve totalità della vita" (vitae summa brevis) ci vieta, ci impedisce (nos vetat) di concepire (incohare) - e si ripete lo stesso sintagma rivolto a Leucone - una lunga speranza, una speranza a lungo termine (spem ... longam). La constatazione dell'impossibilità di nutrire una speranza a lungo termine è aperta e chiusa dall'immagine della morte che ritorna ora sotto la metafora della notte che incalza il destinatario Sestio (te), ora delle anime dei morti (Manes) ora della dimora di Plutone, di modo che Sestio non sarà più re del convito e non potrà più ammirare Licida.
Come nel nostro testo si invita l'interlocutore a non concepire una speranza a lungo termine, il contesto è primaverile e non invernale, sullo sfondo si intravvedono le attività umane (i viaggi in mare, il contadino, l'allevatore) e divine (danze di Venere, delle Ninfe e delle Grazie e l'attività di Vulcano) non vi sono imperativi e congiuntìvi esortativi, né in negativo né in positivo: un più blando nunc decet invita forse all'amore, attraverso l'immagine delle corone di mirto e l'offerta a Fauno e sull'immagine dell'amore omosessuale (argomento tipico della poesia simposiale greca) oltre che sul banchetto sebbene entrambi in negativo (ciò che Sestio non potrà più fare dopo che la pallida Morte lo avrà portato tra i Mani e nei regni plutoni), si chiude l'ode. Nel nostro testo era fugacemente presente il tema del banchetto con l'invito a filtrare i vini, per non attendere il giorno successivo (vina liques), ma nessun riferimento all'amore.

Carmina (Odi), liber primus, 9

Vidès ut àlta stèt nive càndidum
Soràcte nèc iam sùstineànt onus
silvàe labòrantès gelùque
flùmina cònstiterìnt acùto.
Dissòlve frìgus lìgna supèr foco
largè repònens àtque benìgnius
depròme quàdrimùm Sabìna
ò Thaliàrche, merùm diòta.
Permìtte dìvis cètera, quì simul
stravère vèntos àequore fèrvido
depròeliàntis , nèc cuprèssi
nèc veterès agitàntur òrni.
Quid sìt futùrum cràs, fuge quàerere et,
quem Fòrs dièrum cùmque dabìt lucro
adpòne nèc dulcìs amòres
spèrne, puèr, neque tù chorèas,
donèc virènti cànitiès abest
moròsa. Nùnc et càmpus et àreae
lenèsque sùb noctèm susùrri
còmposità repetàntur hòra,
nunc èt latèntis pròditor ìntimo
gratùs puèllae rìsus ab àngulo
pignùsque dèreptùm lacèrtis
àut digitò male pèrtinàci
Alceo, fr. 90 (trad. F.Sisti)

Zeus piove. Dal cielo un grande
temporale. Sono gelati i corsi dei fiumi.
... Scaccia via quest'inverno, attizzando il fuoco,
e mescendo senza risparmio vino
dolce; e intorno alle tempie
cingi fasce morbide di lana.
Con evidenti echi in Alceo (fr.90), il paesaggio nell'ode 9 è invernale, carico di neve e di gelo. Segue l'invito con l'imperativo a mettere abbondanza di legna nel fuoco per dissolvere il freddo e a spillare il buon vino invecchiato quattro anni. Ecco di nuovo l'elemento del vino che lega la maggior parte dei testi oraziani relativi all'angoscia del sentimento del tempo che passa e che caratterizza l'ode come simposiaca. Sempre con l'imperativo s'invita a lasciare che siano gli dei ad occuparsi di placare le tempeste, quasi un affidamento provvidenziale, per ciò che non è in nostro potere. E ancora l'imperativo invita Taliarco, il re del banchetto, come già Leucone nel nostro, a non chiedere, a non cercare di sapere che cosa ci servi il domani (cras, parola angosciante per Orazio) e di considerare un guadagno qualunque cosa la Sorte, personalizzata, darà e l'invito prosegue rivolto ai giovani a non disprezzare i dolci amori e le danze, finché si è in fiore. La scena conclusiva scivola tra i sussurri degli innamorati, il grato sorriso traditore di una puella che finge di trattenere un pegno (un braccialetto o un anello) che lui vuole strapparle.

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati!
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare - 5
Tyrrhenum, sapias: vina liques et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
L'undicesima ode del primo libro è la nostra (alla cui analisi dettagliata sia dal punto di vista linguistco che tematico si rimanda), rivolta all'ingenua Leucone: in essa s'invita con imperativi negativi o positivi o con congiuntivi esortativi a non cercare di sapere quale sarà il termine della nostra vita, perché non ci è lecito e sarebbe empio e sacrilego, a sopportare ciò che sarà, a filtrare i vini, per berli oggi senza aspettare domani (tema simposiaco, senza però il tema dell'amore), a evitare di nutrire una speranza a lungo termine (come nella quarta ode) e poiché parlando il tempo se ne è già andato, invidioso verso l'uomo, a spizzicare un giorno alla volta staccandolo dal tempo, senza confidare in ciò che viene dopo.

Aequam memento rebus in arduis
servare mentem, non secus in bonis
ab insolenti temperatam
laetitia, moriture Delli,
seu maestus omni tempore vixeris - 5
seu te in remoto gramine per dies
festos reclinatum bearis
interiore nota Falerni.
Quo pinus ingens albaque populus
umbram hospitalem consociare amant - 10
ramis? Quid obliquo laborat
lympha fugax trepidare rivo?
Huc vina et unguenta et nimium brevis
flores amoenae ferre iube rosae,
dum res et aetas et Sororum
fila trium patiuntur atra. - 15
Cedes coemptis saltibus et domo
villaque, flauvs quam Tiberis lavit,
cedes, et exstructis in altum
divitiis potietur heres. - 20
Divesne prisco natus ab Inacho
nil interest an pauper et infima
de gente sub divo moreris,
victima nil miserantis Orci;
omnes eodem cogimur, omnium - 25
versatur urna serius ocius
sors exitura et nos in aeternum
exilium impositura cumbae.
Dominata dal tema dell'ineluttabilità della morte e dalle immagini dell'Ade è la terza ode del secondo libro, in cui l'autore invita Dellio, destinato a morire (moriture Delli) a mantenere una aequam ... mentem sia nella buona che nella cattiva sorte. Nei quattro versi centrali l'invito a farsi portare vini, unguenti e rose dalla breve vita, finché il patrimonio (res) e l'età (aetas) e i neri (atra) fili delle tre sorelle (le Parche) lo consentono. Segue l'elenco di ciò che Dellio (evidentemente benestante) dovrà lasciare: la casa, i pascoli, la villa sul Tevere, beni di cui godrà l'erede. Ricco o povero nulla importa (nil interest) alla morte che non prova alcuna compassione (nil miserantis Orci). Con parole che verranno richiamate simili da Ovidio sulla bocca di Orfeo nell'Ade, per convincere Plutone e Persefone non a restituire, ma a concedere in usufrutto Euridice, che appartiene come tutti all'Ade a cui siamo destinati, Orazio ricorda a Dellio che siamo tutti costretti al medesimo luogo (omnes eodem cogimur ) e che è rivoltata nell'urna la sorte di tutti, destinata a uscire (exitura) prima o poi (serius ocius) e destinata a salire sulla barca verso un eterno esilio (in aeternum exilium). I participi futuri (moriture, exitura, inpositura ) incorniciano l'ode conferendo questo senso di ineluttabilità e destino.

Eheu fugaces, Postume, Postume,
labuntur anni, nec pietas moram
rugis et instanti senectae
adferet indomitaeque morti,
non, si trecenis, quotquot eunt dies,
amice, places inlacrimabilem
Plutona tauris, qui ter amplum
Geryonen Tityonque tristi
compescit unda, scilicet omnibus,
quicumque terrae munere vescimur, - 10
enaviganda, sive reges
sive inopes erimus coloni.
Frustra cruento Marte carebimus,
fractisque rauci fluctibus Hadriae;
frustra per autumnos nocentem - 15
corporibus metuemus Austrum.
Visendus ater flumine languido
Cocytus errans, et Danai genus
infame, damnatusque longi
Sisyphus Aeolides laboris. - 20
Linquenda tellus, et domus, et placens
uxor, neque harum, quas colis, arborum
te, praeter invisas cupressos,
ulla brevem dominum sequetur.
Absumet heres Caecuba dignior - 25
servata centum clavibus, et mero
tinget pavimentum superbis
pontificum potiore coenis.
Eheu fugaces, Postume, Postume,
labuntur anni,
L'ode 14 inizia con un'interiezione (Eheu) seguita subito dall'aggettivo (fugaces) concordato in iperbato con anni. Il suffisso - ac - dell'aggettivo in evidenza fugaces riferito a anni ha una connotazione negativa: fugax è il soldato che fugge abbandonando il suo posto di combattimento, è il traditore. Anche il verbo labuntur indica uno scivolare furtivo e silenzioso. Dunque gli anni scivolano via furtivi e silenziosi come traditori che scappano di nascosto dalla postazione loro assegnata. La ripetizione del vocativo del destinatario accentua il senso di trasmissione di una conclusione amara: Postumo, Postumo gli anni scivolano via traditori e la religiosità non ritarderà le rughe, la vecchiaia e l'indomita morte, nemmeno se Postumo cercasse di placare l'ira di Plutone con il scrificio di trecento tori al giorno. Ritorna, come nella precedente, la considerazione che tutti coloro che si nutrono dei doni della terra là nell'Ade sono destinati, ricchi o poveri che siano. Invano ci teniamo distanti dalla guerra o dai viaggi nel mare burrascoso o dai venti autunnali che fanno ammalare. Deve essere visitato lo scuro (e di nuovo ricorre l'aggettivo ater) Cocito e devono essere visitati gli abitanti infernali. Deve essere abbandonata la terra, la casa, l'amata moglie e solo i cipressi tra gli alberi coltivati lo seguiranno. Il partecipio futuro dell'ode precedente col suo significato di predestinazione è qui sostituito dal gerundivo col suo senso di ineluttabilità. L'immagine del simposio è sostituita dalla dolcezza dell'affetto sponsale e non come invito a goderne, ma come realtà positiva che dovrà essere abbandonata. Gli alberi che postumo coltiva da una parte sono il pretesto per inserire l'immagine dei cipressi che perpetuano il clima funereo che pervade tutta l'ode, dall'altra introducono il tema dei beni accumulati (evidentemente anche Postumo, personaggio reale o fittizio è benestante). L'erede godrà dei suo beni e berrà, sprecandolo e versandolo pure al suolo, il suo vino migliore ben custodito. Ricorre ancora l'immagine del vino, ma questa volta non come invito a filtrarlo, servirlo, berlo, bensì come immagine di un bene che godrà l'erede, in quanto il destinatario non potrà portarselo con sé nell'Ade. Il finale riecheggia, senza che Orazio ne sia consapevole, i toni di Qoelet (o Ecclesiaste) sulla vanità di accumulare beni di cui godranno gli eredi.

Diffugere nives, redeunt iam gramina campis
arboribusque comae;
mutat terra vices et decrescentia ripas
flumina praetereunt;
Gratia cum Nymphis geminisque sororibus audet - 5
ducere nuda choros:
immortalia ne speres, monet annus et almum
quae rapit hora diem.
Frigora mitescunt Zephyris, ver proterit aestas,
interitura simul - 10
pomifer autumnus fruges effuderit, et mox
bruma recurrit iners.
Damna tamen celeres reparant caelestia lunae:
nos, ubi decidimus
quo pius Aeneas, quo Tullus dives et Ancus, - 15
pulvis et umbra sumus.
Quis scit an adiciant hodiernae crastina summae
tempora di superi?
Cuncta manus avidas fugient heredis, amico
quae dederis animo. - 20
Cum semel occideris et de te splendida Minos
fecerit arbitria,
non, Torquate, genus, non te facundia, non te
restituet pietas;
infernis neque enim tenebris Diana pudicum - 25
liberat Hippolytum
nec Lethaea valet Theseus abrumpere caro
vincula Pirithoo.
Ancora com nel Carmen I, 4 il contesto è quello della primavera incipiente che scaccia l'inverno: scioglie le nevi, torna il verde e ancora (ma questa volta manca Venere) abbiamo le danze della Grazia e delle Ninfe. Subito bruscamente abbiamo un ammonimento dell'anno e dell'ora al destinatario Torquato, affinché non speri ( ne speres) inmortalia, cose immortali, posto in rilievo a inizio verso. L'ora (hora) regge una relativa: quae rapit almum diem (riordinato), che rapisce (azione violenta e rapida) il giorno che dà vita, portatore di vita. Ancora una volta notiamo la connotazione positiva del dies: è ciò di cui disponiamo, è ciò che viene rapito dall'anno e dall'ora, è ciò che dobbiamo staccare volta per volta dall'aetas (Odi I, 11) invidiosa. Tutti i nomi del tempo sono cattivi, solo il giorno è l'oggi, è l'unità di misura della vita. Cras, domani, è già una parolaccia. Ritorna la descrizione metereologica con i freddi che si fanno miti agli Zefiri, ma già l'estate calpesta la primavera e la stessa estate è connotata dal participio futuro interitura, "destinata a morire", quindi l'autunno ricco di frutti e subito l'inverno. "Tuttavia le lune riparano veloci i danni celesti, noi quando precipitiamo dov'è il pio Enea, dove sono i ricchi Tullio e Anco", pulvis et umbra sumus. Ecco il contrasto, tra la ciclicità della natura capace di rinnovarsi e l'unicità della nostra vita. Contrasto già visto in Catullo: "i soli possono tramontare e ritornare, noi invece, quando tramonta una sola volta questa breve luce donbbiamo dormire una notte perpetua" e quel "Cum semel occidit" catulliano ritorna qui pochi versi più avanti (20) nel "Cum semel occideris". Il luogo dove noi precipitiamo è questa volta abitato non da mostri bensì da personaggi illustri, pii come Enea e ricchi come Tullio e Anco: fama, nobiltà, devozione, ricchezza non sono serviti a risparmiarli dal destino finale: noi, una volta precipitati là, siamo polvere e ombra, immagine e parole che di solito vengono proiettati nel Medioevo e invece troviamo nel tradizionalmente presentato come apollineo poeta dell'età augustea.
Una domanda retorica introduce il tema dell'inconoscibilità del futuro, già presente in Carmen I, 9 e in Carmen I, 11, ma senza l'idea di sacrilegio, bensì di semplice ignoranza: chi sa se gli dei che stanno in alto aggiungeranno alla totalità odierna i momenti di domani? Come nella precedente torna il tema dell'erede che in questo caso sperpererà velocemnte ciò che il destinatario gli avrà donato con animo amico, mostrando dunque l'inutilità dell'accumulo.
Ecco la iunctura catulliana Cum semel occideris (Quando una sola volta, una volta per tutte, sarai precipitato) "e Minosse ti avrà giudicato" nulla potrà riportarti in vita: né l'appartenenza a una nobile stirpe (come già nella precedente il riferimento a Enea), né l'abilità di parlare (forse un'allusione a Orfeo?), né la devozione. Due esempi mitici mostrano come, se neppure gli dei (Diana e Teseo) sono stati in grado di riprtare dall'Ade i loro cari (rispettivamente Ippolito e Pirìtoo), a maggior ragione non torneremo dall'Ade noi.

Horrida tempestas caelum contraxit et imbres
nivesque deducunt Iovem; nunc mare, nunc siluae
Threicio Aquilone sonant. rapiamus, amici,
Occasionem de die dumque virent genua
et decet, obducta solvatur fronte senectus.
tu vina Torquato move consule pressa meo.
cetera mitte loqui: deus haec fortasse benigna
reducet in sedem vice. nunc et Achaemenio
perfundi nardo iuvat et fide Cyllenea
levare diris pectora Sollicitudinibus,
nobilis ut grandi cecinit Centaurus alumno:
'invicte, mortalis dea nate puer Thetide,
te manet Assaraci tellus, quam frigida parvi
findunt Scamandri flumina lubricus et Simois,
unde tibi reditum certo Subtemine Parcae
rupere, nec mater domum caerula te revehet.
illic omne malum vino cantuque levato,
deformis aegrimoniae dulcibus adloquiis.
Un temporale spaventoso con il cielo che sembra piombare cupo in terra, mentre piovano pioggia e grandine e il mare e i boschi sono sferzati da un terribile vento, apre il testo. Un punto e improvviso un congiuntivo esortativo rivolto agli amici e a se stesso, quindi a un noi: Rapiamus amici occasionem de die.... Come abbiamo gia visto nella Semantica del 'carpe diem' di Alfonso Traina, qui il termine 'rapio' connota l'azione nel senso di violenza e rapidità: si tratta di strappare dal giorno un'occasione (azione, dunque, diversa e distante da quella del care diem), e finché le gionocchia hanno vigore e si addice, venga sciolta la vecchiaia dalla fronte contratta. Ecco il tema simposiaco del vino a cui - mentre un dio farà tornare sereno il cielo, si aggiunge il tema dei profumi e della musica per sollevare i cuori dalle funeste angosce. Qui si inserisce il canto del centauro che preannuncia al giovane invincibile Achille, mortale nato dalla dea Teti, a cui, chiamato a combattere a Troia, le Parche hanno rotto il ritorno con il filo stabilito e allora lo invita a scacciare gli affanni col vino e col canto.

Albi, nostrorum sermonum candide iudex,
quid nunc te dicam facere in regione Pedana?
Scribere quod Cassi Parmensis opuscula uincat,
an tacitum siluas inter reptare salubris,
curantem quicquid dignum sapiente bonoque est? - 5
Non tu corpus eras sine pectore; di tibi formam,
di tibi diuitias dederunt artemque fruendi.
Quid uoueat dulci nutricula maius alumno,
qui sapere et fari possit quae sentiat, et cui
gratia, fama, ualetudo contingat abunde, - 10
et mundus uictus non deficiente crumina?
Inter spem curamque, timores inter et iras
omnem crede diem tibi diluxisse supremum;
grata superueniet quae non sperabitur hora.
Me pinguem et nitidum bene curata cute uises, - 15
cum ridere uoles, Epicuri de grege porcum.
Epistula I, 4 - Orazio invita Albio Tibullo a ritenere come l'ultimum supremum ogni giorno omnem ... diemche sia sorto per lui. Sopraggiungerà allora gradita l'ora che non sarà sperata.
La considerazione di vivere il giorno presente come fosse l'ultimo è tipico della concezione stoica, anche se Orazio nella conclusione dell'epistola si definisce grasso e lucido maiale proveniente dal gregge di Epicuro e in generale faccia più spesso esplicito riferimento alla filosofia epicurea che alla stoica.

Quid tibi uisa Chios, Bullati, notaque Lesbos,
quid concinna Samos, quid Croesi regia Sardis,
Zmyrna quid et Colophon? Maiora minoraue fama,
cunctane prae Campo et Tiberino flumine sordent?
An uenit in uotum Attalicis ex urbibus una? - 5
An Lebedum laudas odio maris atque uiarum?
Scis Lebedus quid sit: Gabiis desertior atque
Fidenis uicus; tamen illic uiuere uellem,
oblitusque meorum, obliuiscendus et illis,
Neptunum procul e terra spectare furentem. - 10
Sed neque qui Capua Romam petit, imbre lutoque
aspersus uolet in caupona uiuere; nec qui
frigus collegit, furnos et balnea laudat
ut fortunatam plene praestantia uitam;
nec si te ualidus iactauerit Auster in alto, - 15
idcirco nauem trans Aegaeum mare uendas.
Incolumi Rhodos et Mytilene pulchra facit quod
paenula solstitio, campestre niualibus auris,
per brumam Tiberis, Sextili mense caminus.
Dum licet ac uoltum seruat Fortuna benignum, - 20
Romae laudetur Samos et Chios et Rhodos absens.
Tu quamcumque deus tibi fortunauerit horam
grata sume manu neu dulcia differ in annum,
ut quocumque loco fueris uixisse libenter
te dicas; nam si ratio et prudentia curas, - 25
non locus effusi late maris arbiter aufert,
caelum, non animum mutant, qui trans mare currunt.
Strenua non exercet inertia; nauibus atque
quadrigis petimus bene uiuere. Quod petis, hic est,
est Vlubris, animus si te non deficit aequus. - 30
Epistula I, 11 - A noi nota per il tema della strenua inertia (nell'Epistula I, 8 definito funestus veternus), l'Epistula I, 11, contiene una delle espressioni analizzate da La semantica del "carpe diem" di Traina. Sumere, indica dunque qui un prendere con gratitudine per usarne, un dono di un dio senza rinviare le dolcezze di anno in anno.
Pur contenendo anche il tema del tempo, manca come nel precedente il tema simposiaco, di frequente presente nei componimenti di Orazio sul tempo.


Oscar Testoni, ultima revisione: 27/07/2020


www.oscartestoni.it
www.saratestoni.it
www.oscartext.com