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5 dicembre 63 a.C. (Nonis decembribus) Il senato si riunisce per decidere la pena da infliggere ai congiurati catturati. Il console designato Decimo Giunio Silano è favorevole alla pena di morte. Il pretore designato Gaio Giulio Cesare è contrario alla pena di morte: la sua proposta è la confisca dei beni e il confino. L'orazione di Cesare risulta talmente convincente che Cicerone interrompe la votazione per pronunciare un'orazione con cui sostiene le buone ragioni della pena di morte (-> IV Catilinaria). In fine interviene Marco Porcio Catone (dopo la sua morte detto l'Uticense), che dimostra che il buon esito della congiura costituirebbe la fine del dominio degli aristocratici, convincendo così i senatori a decretare la condanna a morte. La condanna viene fatta eseguire immediatamente nel carcere Mamertino. Agli inizi del 62 a.C. vengono sconfitti presso Pistoia dall'esercito romano i ribelli guidati da Catilina e da Manlio. |
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Captatio benevolentiae: cerca di attirare l'adesione dei senatori a sé e l'attenzione su quanto sta per dire. Per sé si dichiara disposto ad affrontare anche la morte nell'interesse dello stato (deinde, si quid obtigerit, aequo animo paratoque moriar), per i senatori, li esorta a preoccuparsi per la loro salvezza (conservate vos, coniuges, liberos fortunasque vestras) e per quella della patria (prospicite patriae). | ||
Ribadita la propria assoluta mancanza di interessi personali, entra nel merito: i congiurati hanno confessato e ne è stata dimostrata la colpevolezza, quindi occorre stabilire la pena da infliggere loro. | ||
Riprende in esame le proposte di Silano e in particolare quelle di Cesare, che vuole confutare: la confisca dei beni e il confino vanno contro l'interesse dello stato e costituiscono una minaccia continua per la patria. I congiurati devono essere considerati nemici pubblici, perché hanno osato minacciare Roma e lo stato: per questo devono essere puniti con la morte in modo che non possano arrecare nuovi danni alla patria. | ||
Gli giungono voci che lo ritraggono troppo debole per fronteggiare l'eventule situazione che si scatenerebbe dalle decisioni estreme, ma, sviluppando un'ampia difesa del proprio operato e un autoelogio, attribuendo al proprio consolato il merito di avere ricondotto a unità indissolubile d'intenti la classe senatoria e quella dei cavaleri, rassicura i senatori che tutto è pronto, i mezzi sono sufficienti, che tutti i cittadini dai cavalieri ai più umili, compresi i liberti e gli schiavi, vogliono la pace sociale e collaborano per conservare l'ordine nello stato. Lui stesso, scampato alla morte, consacra la sua vita alla difesa dei senatori (Habetis consulem ex plurimis periculis et insidiis atque ex media morte non ad vitam suam, sed ad salutem vestram reservatum), dimetico di sé, interessato solo a loro (Habetis ducem memorem vestri, oblitum sui, quae non semper facultas datur) | ||
Sa di avere numerosi nemici, ma la salvezza dello stato vale di più della sua vita. Sarà onorato insime ai grandi di Roma (gli Scipioni, Lucio Emilio Paolo, Mario Pompeo) e invita i senatori a mantenere vivo il ricordo del suo operato e di prendersi cura del piccolo figlio Marco, qualora al padre capiti qualche disgrazia (introduzione di pathos: Quodsi meam spem vis improborum fefellerit atque superaverit, commendo vobis parvum meum filium). Infine li esorta a prendere una decisione, disposto a eseguirla, qualunque essa sia (Habetis eum consulem, qui et parere vestris decretis non dubitet et ea, quae statueritis, quoad vivet, defendere et per se ipsum praestare possit). |